Il Coronavirus ha messo in evidenza la fragilità di un sistema che prevede l’assemblaggio di innumerevoli prodotti in diversi Paesi

Una data cardine per questo tema, lato consumatore, potrebbe essere il 1988. In quell’anno un piccolo gruppo di visionari, che credevano nel potere dell’azione collettiva di fare la differenza nella vita dei lavoratori e nelle catene di fornitura delle aziende, crearono ETI (Ethical Trade Initiative). Negli anni successivi, tutti noi abbiamo seguito decine di scandali riportati dai media, a partire dagli anni 90, che hanno messo in luce lo sfruttamento delle persone che producono vestiti, scarpe e altri beni di consumo per i principali marchi e rivenditori globali. In risposta agli scandali, le aziende hanno iniziato ad adottare codici di pratica del lavoro che disciplinano le condizioni di lavoro delle persone nelle loro catene di fornitura, aiutati da ETI e altri soggetti simili.

E fino a qui, siamo sul piano etico in risposta a un bisogno del consumatore di essere tutelato, nel senso di essere certo di acquistare un prodotto rispettoso di una serie di requisiti minimi, tra i quali il lavoro in condizioni di sicurezza e igiene, la mancanza di discriminazioni, eccetera. Molto è cambiato da allora. Le principali aziende del mondo ora controllano meglio, rispetto al passato, i loro fornitori e sotto-fornitori, gli scandali in questo senso sono diminuiti. Ma il tema del monitoraggio dei fornitori è ancora centrale, come lo era allora. In questo periodo tuttavia è cambiato il punto di osservazione. Si tratta ora di salvaguardare la capacità di produzione e distribuzione dei beni di consumo, non più esclusivamente di monitorare i comportamenti delle imprese.

Se negli ultimi mesi hai provato ad acquistare una bicicletta, è probabile che tu abbia riscontrato qualche problema. La carenza di biciclette è internazionale ed è iniziata a gennaio, quando il coronavirus ha chiuso le fabbriche dell’Asia orientale, il centro della catena di approvvigionamento dell’industria delle biciclette. E questa primavera, mentre montava la carenza di offerta, la domanda stava per esplodere. Tutto è iniziato quando eravamo bloccati a casa e abbiamo deciso di prendere la bicicletta, e poi è proseguito quando abbiamo iniziato ad avere dei dubbi «sanitari» nell’uso dei mezzi pubblici. Chi può, adesso usa la bicicletta. La catena della produzione e distribuzione della bicicletta, tratteggiata con un po’ di approssimazione si compone di quattro livelli: 1) fornitura della materia prima (metalli, plastica, gomma, …); 2) strutture e sistemi: quali freni, ruote, trasmissione, motori e accessori; 3) assemblatori; e 4) distributori (mass market, negozi indipendenti, negozi specializzati nello sport).

Nei tempi passati, per motivi economici, le forniture di livello 1 e 2 sono avvenute servendosi di fornitori asiatici, capaci di fornire a prezzi competitivi e senza costringere gli assemblatori a dotarsi di stock troppo grandi. Gli assemblatori non hanno aumentato notevolmente la loro capacità produttiva e soprattutto di stoccaggio, o perlomeno non lo hanno fatto alla stessa velocità della crescita della domanda. Ciò ha tenuto bassi i prezzi e ha contribuito ad aumentare i margini, il che è una cosa positiva per i marchi e per i distributori, anche se il lato negativo di tutto questo è stato l’aumento della dipendenza da determinati fornitori low-cost. In tempi buoni, l’acquisto dei componenti per la produzione in mercati lontani aiuta a ridurre i costi, e in tempi difficili? Questo modo di gestire le forniture diventa una gran seccatura. La consegna del prodotto semilavorato e dei pezzi oggi è, infatti, un enorme problema che diversi settori stanno affrontando. Basta un intoppo e intere catene si fermano, in attesa di quel bullone proveniente da quella fabbrichetta in Cina o in Repubblica Ceca, momentaneamente ferma a causa del Coronavirus.

Una catena di approvvigionamento, come abbiamo visto sopra per le biciclette, passa attraverso diversi livelli di fornitura. Quindi, una catena di approvvigionamento di un’azienda include il loro primo livello di fornitori e anche i fornitori di tali fornitori. Quindi, l’intero processo, «dalla miniera al consumatore finale», è oggi sotto pressione. Abbiamo vissuto uno shock tra i più significativi che le catene di approvvigionamento globali abbiano dovuto affrontare. La crisi portata dal Covid-19, ha avuto un enorme impatto, non solo sulla capacità di ottenere forniture, ma anche su ciò che sta accadendo con il consumatore finale.

In media, le aziende ora sono terrorizzate dal ripetersi dell’interruzione delle loro linee di produzione per periodi prolungati perché non possono mantenere gli impegni di fornitura e, in un certo senso, sono a rischio di deludere i propri clienti. Si tocca quindi la vulnerabilità delle aziende. I dirigenti si stanno chiedendo quale sia la loro visibilità nella catena di fornitura.

Le aziende stanno scoprendo di avere potenziali colli di bottiglia critici nelle loro catene di approvvigionamento, dove, ad esempio, potrebbe esserci un fornitore di secondo livello che fornisce diversi fornitori di primo livello. Se succede qualcosa a quell’unico fornitore, l’intero sistema potrebbe cadere.

L’impegno delle aziende è quindi orientato alla costruzione di un nuovo rapporto di trasparenza con la catena di fornitura, finalizzato alla conoscenza effettiva di tutti i sotto-fornitori coinvolti e nell’eventualità di una crisi, nel ripensamento della composizione della filiera, sia a livello di singoli fornitori, che a livello geografico. Nel caso specifico, se ho un paio di fornitori di trasmissioni che si approvvigionano dallo stesso sotto-fornitore di metallo, se si blocca il fornitore di metallo, i miei due fornitori saranno impossibilitati a evadere il mio ordine. La massima trasparenza richiesta ai fornitori, permette di evitare, laddove possibile, tale problema latente. Tutti coloro che lavorano oggi nel mondo degli affari sono cresciuti in un’epoca in cui, fondamentalmente, il commercio diventava sempre più libero col passare del tempo, e le tariffe, le restrizioni e le barriere diminuivano. In altri termini un «liberi tutti» a livello planetario, guidato dalla ricerca del miglior rapporto qualità/prezzo, senza considerare alcuni rischi quali, per esempio, uno stop delle forniture provenienti dall’Asia.

Non siamo più in quel mondo, per una serie di motivi, alcuni presentati qui. In questo nuovo stato, in cui è centrale l’esigenza di proteggersi da future crisi, le aziende stanno attivamente pensando a come far fronte a future tensioni all’interno delle catene di fornitura e la domanda del momento è, «come posso ottenere dai miei fornitori una maggiore trasparenza a tutti i livelli?».

È davvero una questione di primaria importanza. Trent’anni fa il cliente finale ha fatto pressione per spingere le aziende a mettere mano al tema etico, oggi si pone una sfida attinente ai rischi derivanti dalle mancate forniture, che, nel limite del possibile, devono essere previsti.

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