La nuova normalità seguita alla pandemia cambierà il settore, con alcuni vantaggi per i consumatori

Per i brand della moda, i mesi dell’anno sono scanditi secondo un calendario di lavoro fitto organizzato, grossomodo, in trimestri. I° TRIMESTRE: Vendita ai negozi della collezione autunno-inverno dell’anno in corso, saldi invernali e poi vendita al consumatore finale della collezione primavera-estate, progettazione della collezione primavera-estate dell’anno successivo; II° TRIMESTRE: Prosieguo della vendita della collezione primavera-estate, prototipazione della collezione primavera-estate dell’anno successivo; III° TRIMESTRE: Vendita ai negozi della collezione primavera-estate dell’anno successivo, saldi estivi e poi vendita al consumatore della collezione autunno-inverno, progettazione della collezione autunno-inverno dell’anno successivo: IV° TRIMESTRE: Vendita ai negozi della collezione autunno-inverno, prototipazione della collezione autunno-inverno dell’anno successivo.

Nel mezzo ci sono le collezioni “pre“, i cosiddetti “lanci integrativi”, le “capsule collection” e i “riassortimenti” per i negozi che richiedono nuova merce o cambio di taglie.

Il tutto, in un contesto guidato dalla “pancia” dei creativi, che in genere non sono dei fini programmatori. Tutto questo “caos” caratterizza gli anni “normali”.

Nel 2020 cosa è accaduto?

A fine febbraio il mercato si è fermato per tre mesi, i brand stavano terminando la vendita ai negozi delle collezioni autunno-inverno 2020 ed erano impegnati nelle ultime consegne delle collezioni primavera-estate 2020. Risultato: a) i negozi hanno prudenzialmente limitato gli acquisti (non si sa mai, meglio non rischiare, …) e chi aveva già piazzato gli ordini ha emesso annullamenti parziali o totali; b) i negozi che non avevano ancora ricevuto il saldo delle collezioni primavera-estate 2020, hanno chiesto ai brand sconti oppure annullamenti degli ordini.

Superato il momento di tensione, a giugno i brand hanno presentato le collezioni primavera-estate 2021, in un contesto di totale incertezza. I negozi di abbigliamento che in genere ragionano per cassa, sono in una condizione drammatica dal punto di vista della liquidità, dato che per mesi non hanno venduto. Pertanto, le campagne vendita sono partite male e hanno chiuso peggio dato che a metà settembre – momento in cui concretamente si piazzano gli ordini – è arrivata la seconda ondata di infezione da Covid-19, gelando l’umore del settore.

Che si fa?

Molti brand avevano iniziato a interrogarsi sul loro futuro molto prima della pandemia, convinti che il modello sopra descritto fosse comunque da superare.  La moda, inghiottita da un insieme di ingranaggi, non era più sostenibile. Per passare dalle parole ai fatti, il settore aveva bisogno di pensare in modo differente e la pandemia ha stimolato questo processo.
Processo che, probabilmente, consentirà l’adozione di un nuovo modo di presentare le collezioni, seguendo un modello su misura per il singolo brand. I brand hanno abbandonato il pensiero unico a ingranaggi, per entrare in una logica che consenta di ripensare (tra l’altro) il rapporto con i negozi indipendenti multimarca, con l’obiettivo di ridurre il rischio e velocizzare i tempi. Questo non significa sacrificare il canale, ma cementare la relazione con i multimarca, che sono in grado di garantire vendite nel medio termine a supporto delle vendite online, che esploderanno, e dei negozi propri che cambieranno in una logica omnicanale.

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