È necessario tenere a mente che la crisi non è un fatto imponderabile e per questo non va mai sottovalutata, è sempre necessario prepararsi già quando nulla la lascia prevedere, anche se quello che poi effettivamente si verifica non sarà mai perfettamente incastrabile in uno schema definito.  Cominciamo con il dire che la comunicazione di crisi si divide in 3 fasi:

  1. Community management
    In questa fase la crisi è agli inizi, meglio approfittarne per farsi carico delle proprie responsabilità e rispondere a tono alla prima ondata di reazioni. Fare dell’ironia o orecchie da mercante non aiuta. In questa fase è bene moderare i commenti sui profili social dell’azienda facendosi anche aiutare dai filtri automatici;
  2. Non farti trollare
    Se la fase 1 non è bastata a placare gli animi, perdere la calma a propria volta non è un’opzione viabile, non lasciarti innervosire dai troll che cercano di provocarti, piuttosto è meglio fermarsi e chiedere al responsabile della comunicazione di rimodulare strategia, valutando un intervento di un dirigente, magari con un video;

RICORDA: Un troll su internet è un soggetto che interagisce con gli altri tramite messaggi volutamente provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso e/o del tutto errati, con il solo obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi.

  1. La crisi è sulla bocca di tutti
    La fase 3 è quando ormai la crisi è fuori dalla portata dei social aziendali, ma è andata virale e ha raggiunto altri canali e i media. In questo caso è ipotizzabile l’intervento di un dirigente, preferibilmente il CEO, che dovrà a sua volta coinvolgere altri mezzi, primo tra tutti la stampa.

La comunicazione di crisi dev’essere tempestiva: bisogna prendere il toro per le corna e non restare a guardare facendo sì che le conseguenze si ingigantiscano; esaustiva: è fondamentale fornire informazioni in maniera semplice, chiara, incisiva e completa, non può esserci spazio per i fraintendimenti; aggiornata: deve essere sul pezzo con l’evolversi della situazione; centralizzata, l’organizzazione deve parlare attraverso un unico portavoce capace di trasmettere un messaggio coerente ed esaustivo e trasparente, la parola d’ordine è sincerità, le persone si fidano di chi mostra loro rispetto e correttezza, anche se si trattano argomenti che non ci piace ascoltare. 

Cosa fare, ma soprattutto cosa NON fare

Pollice su Pollice giù
1. Isolare la gestione della crisi dall’ordinaria amministrazione, va infatti identificata un’unità di crisi, una task force, che ha il compito di gestire tutte le fasi dell’evento; Non cullarsi nell’idea o nella speranza che la crisi termini da sola, NON LO FARÀ, soprattutto, senza lasciare danni!
2. Nella fase di pianificazione e di gestione assumere sempre l’ipotesi peggiore e identificare ed eventualmente mobilitare potenziali alleati; Non ignorare la situazione, minimizzare o sminuire, sono da evitare le bugie e i “no comment”;
3. Avere una visione esaustiva della situazione. Deve quindi esserci un recupero attento, da fonti affidabili, di tutti i dati possibili. Solo dopo aver recuperato tutte le informazioni si può procedere con l’attuazione del piano Non sottovalutare il potere dei social media e della loro capacità amplificatoria;
4. Tutti devono conoscere il ruolo e i comportamenti da adottare per contribuire ad isolare l’avvenimento e/o limitare i danni (procedure di allertamento e di intervento); Non fare parlare tutti, ma adotta una One Voice Strategy! Sarà controproducente se in tanti parlano fornendo magari informazioni contrastanti all’esterno.
5. Dire sempre la verità in modo chiaro e trasparente, in queste situazioni è sempre imprescindibile comprendere e affrontare le preoccupazioni, le ansie e le paure dei pubblici che sono direttamente coinvolti dalla situazione; Non avere paura di mostrarti umano, la parola chiave è EMPATIA.
6. Avvalersi di tutti gli specialisti di cui abbiamo bisogno (avvocati e/o tecnici del settore), ma affidare i rapporti con l’opinione pubblica, i clienti, i mass media ad un esperto di comunicazione (meglio se ad un esperto di “comunicazione di crisi”) e centralizzare il flusso delle informazioni, sia verso l’interno che verso l’esterno. Non inventare scuse per scelte errate e discutibili, SCUSATI in modo sincero;

 

Le 3 R delle scuse ben fatte
Rimorso: dev’essere genuino, non simulato, se sono fatte solo perché le persone si sono arrabbiate evita;

Responsabilità: ci sono situazioni in cui non è possibile prendersi la responsabilità dell’accaduto, sia per le possibili implicazioni legali, sia perché magari veramente non esiste un responsabile, a volte basta un “Ci dispiace, siamo pronti ad assumerci ogni onere in caso sia accertata la nostra responsabilità.

Risoluzione: offrire una soluzione efficace e plausibile, dobbiamo raccontare come ci impegneremo per rimettere le cose a posto.

Il tono e il lessico

Serve empatia e inclusività, nessuna crisi è del singolo, ed è essenziale conoscere il punto di vista di tutti i player coinvolti. Dovremmo chiederci come si sentono dinanzi a quello che sta succedendo? 

Serve anche autorevolezza, è necessario mostrarsi disponibili a condividere le fonti e le logiche dei provvedimenti così da aumentare il senso di partecipazione. L’atteggiamento e il tono devono essere professionali e trasmettere che ogni scelta fatta è frutto di attente analisi e prese di coscienza dei bisogni di tutti.

Positività è una delle parole d’ordine, in psicologia i contenuti o le immagini eccessivamente allarmanti allontanano i destinatari del messaggio. Perciò, a prescindere dall’entità del “danno”, bisogna prospettare possibili vie d’uscita, sottolineando i valori fondamentali dell’azienda. 

Infine serve adattare la comunicazione al profilo dei destinatari affinché risulti davvero efficace, qui non esiste un template predefinito.

 

Il caso Boeing, cosa è andato storto

La famosa azienda di aerei Boeing ha affrontato una gigantesca crisi tra il 2018 e il 2019 quando 2 dei suoi nuovissimi 737 Max sono caduti in Indonesia ed Etiopia, causando la morte di 346 persone. Oggi, il produttore sta ancora soffrendo le conseguenze di questi eventi. 

Cosa è successo?

A seguito degli incidenti la Boeing ha dato la colpa a un errore umano del pilota, quando poi è emerso che i due incidenti erano stati causati da problemi di software di controllo volo. A questo punto tutti i 737 Max di Boeing sono stati lasciati a terra per 20 mesi dalle autorità dell’aviazione e altri enti regolatori fino a che gli enti non avessero capito quale bug nei software aveva causato quei disastri. La conseguenza è stata che le azioni di Boeing in borsa sono letteralmente sprofondate, obbligando l’azienda a stoppare la produzione di questi modelli, causando perdite per bilioni di dollari. Come se non bastasse, con l’avvento della pandemia e quindi un traffico aereo ridotto all’osso, molti ordini per i 737 Max da parte delle compagnie aeree sono stati cancellati, mettendo il brand ancor più in difficoltà da un punto di vista finanziario. 

Infine, quando sembrava tornato il sereno e i 737 Max avevano ricevuto l’abilitazione a volare, attorno al novembre 2020, all’inizio del 2021 sono stati bloccati nuovamente a seguito della scoperta di alcuni problemi elettrici. Nel 2021 Boeing è stata forza a pagare 2.5 bilioni di dollari di patteggiamento per l’accusa di aver tenute nascoste informazioni sui problemi dei loro aerei alle autorità. 

Perché Boeing ha sbagliato? 

In un primo momento, la Boeing ha attribuito la responsabilità dell’incidente a “piloti inesperti”, ma un’indagine ha poi dimostrato che il software di controllo di volo della Boeing è stato il principale responsabile degli incidenti. Durante le indagini è poi emerso che in realtà la Boeing era a conoscenza di questi problem legati ai software di navigazione e li ha deliberatamente tenuti nascosti agli investigatori.

L’errore del brand è stato quello di non comunicare con trasparenza e sincerità, oggi è impensabile nascondersi dietro a una menzogna, la verità verrà sempre a galla perché l’informazione corre alla velocità della luce, che è molto più veloce di un Boeing! 

 

Il caso Starbucks, ecco come gestire una crisi!

Starbucks ha dovuto affrontare una crisi qualche tempo fa per problemi di razzismo tra i propri dipendenti a seguito di un incidente che è diventato virale sui social. 

Cosa è successo?

I dipendenti di un punto vendita negli Stati Uniti hanno chiamato la polizia perché alcuni clienti, neri, erano all’interno del negozio senza ordinare nulla, in attesa di una persona. Dove sta il problema? L’insinuazione che sta dietro alla chiamata alle autorità, un trattamento del genere non sarebbe successo se i due clienti ad attendere fossero stati bianchi.

Cosa ha funzionato?

La reazione di Starbucks è stata quella di lanciare una campagna contro il razzismo. Anziché accollare la colpa del fatto ai lavoratori della filiale, si è concentrata sulla bigger picture, sul problema sistemico del razzismo. L’azienda ha chiuso per un giorno tutti i suoi punti vendita, impegnando tutti i dipendenti in un training contro i pregiudizi razzisti, che è costato all’azienda oltre 10 milioni di dollari. 

Questo ha avuto grande risonanza internazionale, mettendo Starbucks sotto una luce migliore.

Qui Starbucks si è preso la responsabilità come insieme, non sminuendo e incolpando i singoli, ma affrontando questa crisi come un problema sistemico sociale.

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